giovedì 20 maggio 2021

Io ho una mia teoria sulla morte

O per meglio dire, sulla vita dopo la vita. Per essere più precisi: sulla possibilità della prosecuzione dell’esistenza dopo il capolinea del vivere - per come noi lo intendiamo.

Lo so che arriva il caldo. Che l’estate è alle porte. Che dovrei scrivere di ormoni che si risvegliano, di coprifuochi smussati e di costumi.

Ma io, da meno di un anno a questa parte, un paio di domandine in più sulla morte ho iniziato a farmele. Con serenità. Senza scomodare nessun dio e nessuna religione. Che se solo continuassi a credere in un dio o in una qualsiasi forma di religione sarei profondamente incazzata:

a- col dio in questione, il quale, a questo punto, mi risulterebbe fortemente indigesto e alla stregua di un farabutto;

 b- con la religione a cui fare riferimento che, come proseguo del dio da cui assume la sostanza, ad altro non potrebbe somigliare se non ad una istituzione divina inneggiante alle atrocità e alle ingiustizie ma con la regola inviolabile di tenere botta, in nome di una ipotetica ricompensa che prima o poi arriverà.


Ecco, io ho deciso di tenere botta. Ma privandomi del piacere di chiamare in causa terzi incomodi.

Amen.

Ma che fine facciamo quando moriamo? Dove sono i miliardi di morti che hanno lasciato questo mondo per l’altro? Come la gestiscono nell’aldilà la sovrappopolazione?

A me, ovviamente, di dove pascoli in pace, ad esempio, l’anima di Napoleone Bonaparte non è che me ne freghi nulla. Per dirne uno. Però mi chiedo dove siano mia madre e mia nonna scomparse da poco. Mi domando perché non si facciano sentire in qualche modo, perché non mi inviino un qualsiasi segnale decodificabile.

In effetti, pensateci: se i morti potessero intervenire nella vita di chi rimane, si scatenerebbe un grande putiferio: morti ammazzati che si vendicherebbero sugli assassini rimasti, genitori che aiuterebbero concretamente i figli, figli che supporterebbero concretamente i genitori, dritte da nonni e parenti su come svoltare… Insomma, male male non sarebbe.

Tuttavia, è indubbio che, una volta morti, dei morti non rimane traccia se non nei nostri cuori e nel ricordo amorevole che riusciamo a perpetrare di loro nel tempo.

Proprio ieri, parlando con tre cari amici, dicevo che spesso mi capita di fantasticare su quanto sarebbe divertente assistere allo scazzottamento invisibile, che ne so, di mia madre che mette al tappeto mio marito quando mi fa andare fuori dai gangheri e lui che, stupitissimo, non si capacita di cosa sia accaduto.

La verità è che spesso mi capita di ripensare alle parole di una donna che ho conosciuto durante gli ultimi giorni di mia madre proprio all’interno della struttura per malati terminali dove lei era ricoverata. Di quella donna non ricordo il nome, ma rammento la sua espressione serena e quello che mi disse pur trovandosi nella mia stessa situazione:

«Vedi, tutti noi sprigioniamo un circuito d’energia. Quando il nostro corpo si spegne, l’anima continua a mandare vibrazioni. Inizialmente un po’ più forti, poi sempre meno percepibili. Ma l’energia dell’anima continua a circolare in un processo infinito che ci accompagna per tutta la vita e al quale prima o poi ci ricongiungeremo».

Non le diedi molta retta all’epoca, ma di recente mi è capitato di ripensare alla domenica di novembre in cui tornai a casa dopo i funerali di mamma. 

Mi ero portata appresso le melanzane affettate, fritte e surgelate che all’inizio di ogni autunno lei mi preparava con amore affinché, in pieno inverno, io potessi cucinare a Roma la parmigiana al forno. Lo aveva fatto anche lo scorso settembre; avevo trovato nel congelatore le bustine porzionate ed etichettate con cura.

Quella domenica ne avevo tirato fuori dalla borsa frigo una busta e le avevo buttate di mala voglia in un approssimativo sugo, giusto perché il frigo era vuoto da settimane. Le altre le avevo conservate. 

Ero molto incavolata. «Certo, mamma, che te le potevi risparmiare le melanzane se poi te ne dovevi andare così… Tanto la parmigiana non ce la faccio. Anzi, non ci faccio più neppure il sugo, non le voglio le tue melanzane se tu non ci sei…». 
E, all’improvviso, mentre pronunciavo quelle ultime parole, il coperchio in vetro della pentola si è frantumato. Non è esploso mandando in giro i pezzi, si è solo letteralmente frantumato rimanendo comunque integro; tanto che, quando ho fatto per prenderlo, è venuta via solo la parte in plastica che reggeva il manico.

Chi mi avrebbe creduto? 

L'ho fotografato. 



Ora, io non so se quello del coperchio sia stato un caso fortuito. Se pure gli oggetti di casa mia erano stressati e stremati dal periodo. Certo è che io utilizzo da circa un ventennio una batteria di pentole con i coperchi in vetro e quella roba lì non è mai successa; né prima, né dopo la fantomatica domenica.

Certo è anche il fatto che, con le melanzane fritte di mia madre, ci abbia preparato in seguito solo e soltanto parmigiane al forno.

Certo è pure che mi piacerebbe tantissimo che mamma mi comunicasse tre o quattro numeri buoni da giocare al lotto, che spartisse come Mosè le acque sul raccordo quando ci sono io a percorrerlo, che volasse a mo’ di scudo protettivo ovunque camminano i miei figli, che prendesse a bruciapelo a sberle – SCIAFF SCIAFF - mio marito o chiunque altro mi faccia incazzare e senza che io mi scomodi a spiegare il perché, ma la mia teoria sulla morte è che magari quella donna avesse ragione: l’energia delle anime non smette di circolare, in un processo infinito che ci accompagna per tutta la vita e al quale prima o poi ci ricongiungeremo.

Spero. 

Ci voglio credere. 

E mi piace di più di qualsiasi paradiso.


sabato 8 maggio 2021

Baciami ancora - Perché a me la politically correct me le ha frantumate

Va bene, ne hanno parlato tutti. Voglio parlarne pure io. Mi perdonerete. E se non lo fate, vi perdonerò io: che io son buona.


Sta storia delle favole. Dumbo, Gli Aristogatti, Cenerontola e adesso Biancaneve.

Il principe è stato uno stronzo: non si bacia una ragazza avvelenata dalla mela senza il suo consenso.

È difficile capire perché la Disneyland del 2021 scelga di aggiungere una scena con idee così antiquate su ciò che un uomo è autorizzato a fare a una donna. Perché non re-immaginare un finale in linea con lo spirito del film?”.

Già, perché? 

E dire che i fratelli Grimm, previgenti, una mezza salvata l’avevano buttata lì

nella versione originale della favola, il principe arriva un po’ meno testosteronizzato, contratta coi nani per portarsi via la finta morta e si prefigge solo di continuare a guardarsela in santa pace nella quiete del suo castello -scoptofilo di un principe! Come la metti la metti, sempre un abusatore rimane. Un nano, tuttavia, nello spostare la bara di cristallo, inciampa; nel trambusto, Biancaneve finalmente sputa fuori il pezzo di mela avvelenata e si innamora seduta stante del gran pezzo d’uomo che indirettamente l’ha salvata – pure sta Biancaneve, però, che la dà al primo che arriva, mica si fa così.

Che dire: io continuo a preferire la versione romantica del bacio a bruciapelo. Sarà che sono un’inguaribile romantica, sarà che all’asilo lo Gnomo interpretò il principe ed era emozionatissimo di salvare con un bacio le penne a Neve tanto che mi fece piangere, sarà che tutta sta politically correct, a me, le ha frantumate.

Tutti a decantare la libertà di pensiero, tutti a dire che siamo liberi, che nessuno si deve permettere di impelagarci in determinati schemi mentali, e poi non sei neppure padrone di avere una preferenza sul finale di una favola.

La verità è che non si è più liberi di esprimere un pensiero o un giudizio su qualsivoglia argomento senza che sbuchi fuori il politicamente corretto di turno.

Facciamo alcuni esempi - tratti da esperienze di vita vera.

  • Se a scuola, mio figlio ne infastidisce pesantemente un altro e la mamma dell’infastidito si viene a lamentare con me o con le maestre chiedendo che vengano presi provvedimenti, quella è semplicemente una mamma preoccupata e mio figlio è un maleducato che va comunque redarguito.                    Se mio figlio viene pesantemente infastidito, poniamo, dal compagno di colore ed io vado dalla madre o dalle maestre a lamentarmi e a chiedere che vengano presi provvedimenti, io sono razzista. Ebbene, sì, io sono razzista. Perché quello, poverino, proviene da un’altra cultura ed io devo comprendere che, pur trovandosi in Italia da quattordici generazioni, si deve adeguare.

  • Se io porto i miei bambini al parco e c’è un cane che scorrazza libero abbaiando e incutendo timore ad infanti e genitori e viene chiesto cortesemente al proprietario di tenerlo al guinzaglio per il benestare di tutti – come da legge -, il richiedente è uno schifoso anti-animalista. Perché il cane deve essere libero di abbaiare a chi gli pare e i bambini possono pure parcheggiarsi davanti alla televisione e non andare a inquinare l’habitat del migliore amico dell’uomo che, se solo avesse la parola, smadonerrebbe pure lui davanti agli infimi livelli di ragionamento che l’uomo stesso ha raggiunto.

  • Se io vado al ristorante e ordino una bistecca e, mentre felice e compiaciuta me la mangio, il vegano-vegetariano-ononsocomealtrosidice, seduto per sfiga accanto al mio tavolo, mi guarda con disgusto e borbotta che appartengo alla mostruosa razza dei cannibali, io devo tenere botta e fare finta di nulla; se io, sbirciando i germogli di soia o il tofu, che il mio vicino vegano-vegetariano-ononsocomealtrosidice sta mangiando come portata principale, dico apertamente che non mi sognerei mai – io! mica lui! - di seguire un’alimentazione del genere, allora io sono una intollerante.

  • Se io possiedo un appezzamento di terreno e decido di assumere un aiutante, e lo voglio uomo, fisicamente resistente e che sappia portare il trattore, io sono una maschilista; se io sto cercando una baby-sitter e la voglio donna, femmina in tutti i sensi, per questioni mie di cui non devo dare giustificazione a nessuno, escludendo il sesso maschile inclusi gli omosessuali, io sono una omofoba.

Potrei continuare ancora per un pezzo. Ma preferisco fermarmi qui.

Viviamo un’epoca di estremismi. È questo il male. Si è perso il senso dell’equilibrio, della leggerezza, del buon senso, dell’apertura mentale. L’opulenza ci ha rallentato le sinapsi; l’agiatezza ci ha fatto perdere il senso delle priorità.

Io non sono razzista. Per quanto mi riguarda, non dovrebbero esistere confini. L’altro è me, ed io sono l’altro. La supremazia dei popoli, le strategie dei potenti, lo sfruttamento dei paesi più deboli, andrebbero combattuti senza mezzi termini nella totale compattezza di animi e cuori. Ma se un bambino nero, giallo, arancio, fucsia o verde ne picchia un altro, poco mi frega del colore della sua pelle: quel bambino deve essere educato a non ricorrere alla violenza.
Così come uno stupratore, un ladro, un criminale è sempre tale a prescindere dalla sua nazionalità o dalla sua collocazione geografica.

Io amo gli animali, tutti, indistintamente. Nel senso che li rispetto, detesto la violenza gratuita su di essi ed è capitato che mettessi a repentaglio la mia vita e quella della mia famiglia per tirare via un husky abbandonato sulla tangenziale (che poi nessuna associazione di animalari voleva venire a prendere). Però, ad esempio, pur rispettando le preferenze di ciascuno, io, e dico io!, non dormirei mai con il mio cane, né mi sognerei di farmi slinguazzare in bocca cinguettando: Oh, Fido, la mamma è tornata
Non concepisco come ci si possa piazzare in casa o portare a spasso maiali e pecore da compagnia (una volta giuro di aver visto una tizia con una pecora col pannolino al guinzaglio! Sono rimasta basita – specie per il pannolino: ho pensato alla pecora costretta a cacarsi addosso, poveraccia). 
E, ancor di più, non mi capacito di come si faccia a gioire in nome dell’amore per gli animali, della morte di qualcun altro. Mi è capitato mesi fa: un post sui social in cui si annunciava la morte di un giovane ragazzo caduto da un burrone mentre era a caccia e, sotto, centinaia di commenti di questi signori, che si reputano addirittura più sensibili, più empatici e più intelligenti degli altri, in cui veniva espressa con parole ingiuriose e dissacranti “l’immensa gioia” per quella vita spezzata. Ora, per quanto mi riguarda, la caccia potrebbe anche essere abolita - per il nutrimento sarebbero sufficienti gli allevamenti -, ma va fatto salvo che la sua pratica affonda le radici nella storia dell’uomo e che la sua attività continua ad essere regolata dalla legge anche per il monitoraggio delle specie – dunque, praticare la caccia è legale, e far sapere alla mamma di un cacciatore che sei felice perché suo figlio è morto non ti rende una persona migliore, bensì un povero e triste omuncolo che dovrebbe rivedere per intero i suoi meccanismi di crescita.

E, poi, sarò libera di mangiare quel che più ritengo idoneo al mio gusto e alla mia salute? Io sono onnivora. Adoro le bistecche, le cosce di pollo arrosto, i fegatelli in salsa e la soppressata. Sarò libera di gridarlo ai quattro venti o di giudicare folle il gesto di quei genitori che costringono i loro piccoli a nutrirsi malamente di sola erba o lenticchie senza essere linciata? Ammazzatevi da soli, ciascuno è responsabile di se stesso, al massimo argomentate: ma l’imposizione non può o non deve essere contemplata.

Infine, se mai una strega cattiva mi avvelenasse con una mela, e, tu, Principe, ti trovassi fortunatamente a passare, ti prego, baciami! Baciami e baciami ancora e ancora. Persino nel caso in cui la mia auto-certificazione di consenso non ti fosse arrivata in tempo.