La primavera quest’anno ha bucato l’appuntamento. E ha fatto bene, tanto, come la fa la fa, non siamo mai contenti.
Hafattounfreddodellamadonna.
Ad aprile.
Oggi piove. Non sai neppure come vestirli sti ragazzini. Felpa sì, felpa no. L’importante è che non si ammalino, che poi alla prima smocciolata ti chiamano da scuola e ti fanno sentire come se avessi portato in giro un terrorista dell’ISIS pronto a farsi saltare in aria.
Passerà. A Roma ci sveglieremo una mattina e sfiateremo sotto al sole di mezzogiorno imprecando come orsi polari nel deserto. L’estate quando arriva arriva: sticazzi se il giorno prima faceva 7 gradi.
Intanto, l’esaurimento galoppa. Siamo tutti esauriti, chi più, chi meno. L’anno scorso almeno avevamo cantato e ballato sui balconi; quest’anno i balconi li frantumeremmo a mazzate. Chi rompe paga - con soddisfazione, se non altro - e i cocci tutti in testa a quella di sotto che mentre eravamo in DAD pretendeva che non si facesse un fiato PERCHE’-LEI-LA-MATTINA-FA-YOGA.
Beata! che ha ancora voglia di yoghizzarsi, che si gode la pensione maturata in altri tempi e che ha conservato la forza di rompere i maroni al prossimo gravato dalla sottovalutata disgrazia di possedere una prole in età scolastica ai tempi del virus.
La crostata con la nutella che ti portai a Natale doveva andarti di traverso, st…oica di una vicina!
Che siamo esauriti l’ho seriamente capito negli ultimi giorni. A scuola dei miei figli pare ci sia uno psicolabile che si diverte a disseminare viti e chiodi arrugginiti nei pasti somministrati ai bambini. S’è alzato un polverone senza precedenti. E a ragion veduta. I carabinieri sono andati nei locali della ditta che gestisce la mensa e li hanno rivoltati come calzini: non s’è trovato né una causa, né un responsabile. In attesa di altre indagini, la mensa rimane aperta. Tuttavia, il dirigente ha dato la possibilità alle famiglie di scegliere il pasto domestico: ma, attenzione!, attenzione!, le mamme della scuola dell’infanzia vi hanno aderito in minima percentuale.
Siamo proprio esauriti: se preferiamo far rischiare la salute ai nostri figli piuttosto che organizzare un pasto da casa o ribellarci ad uno stato di cose talmente approssimativo, la pandemia c’ha mandato in confusione il cervello.
Che siamo esauriti me l’ha confermato anche la mia amica T.
T. non la incontravo da mesi. Ieri l’ho beccata al supermercato. L’ho vista aggirarsi in mezzo agli scaffali dei cereali e sbiascicare sotto la mascherina perché s’erano fatti fuori tutti i Choco Krave. Non ero sicura fosse lei: per meglio dire, le movenze, quella maniera inconfondibile di piegare il ginocchio quando si innervosisce, i riflessi biondo cenere dei capelli, con - in verità - almeno quattro dita di ricrescita rispetto al solito, e l’accento a metà tra il ciociaro e il burino spinto erano i suoi, ma qualcosa nel suo avanzare a scatti me la rendeva estranea.
«T.! Porca miseria, da quanto tempo! Come va, come state?»
«Ah, bella! Penzavo te fossi morta…»
Ha sorriso con gli occhi vispi e ha toccato il ferro dello scaffale più vicino: sia mai che lo scongiuro non arrivasse in tempo a salvarmi da una probabile dipartita.
«Eh, come stamo,» ha proseguito «stamo fuori con l’accuso, cara mia, che te lo dico a fare… Sempre chiusi a lavorà da casa, come le pecore dentro a’na gabbia, che se fossimo pecore ce farebbero senz’altro andare ar pascolo… Che poi li vedi? Tutti a piagne miseria, tutti in cassa integrazione, e poi se magnano i cereali più cari…»
Ho sghignazzato. Come te le racconta T., nessuno al mondo.
Solo che, mentre parlava, scattava. Piccoli e ripetuti scatti principalmente indirizzati alla metà inferiore del corpo: a destra, a sinistra, avanti e indietro.
Mi è venuto naturale chiederglielo: «T., ma che c’hai?»
«E che c’ho, che c’ho…» ha detto ballonzolando da una parte all’altra. «C’ho che mi scappa. E nessuno me la fa fare! Sono andata al bar di fronte, al bar di dietro, ai bagni pubblici del centro commerciale… Niente, al gabinetto non ci si può più andare: indipendentemente dall’arcobaleno di turno. Ai tempi der Covid se soffri de vescica lenta te tocca attrezzatte…»
Le ho lanciato un’occhiata carica d’affetto. L’unico gesto amichevole che possiamo concederci di questi tempi (io a strofinare i gomiti non ci penso proprio!).
« Che ditte... me ne vado, che io qua non la tengo più...E ricorda, cara mia, imprimitelo bene: siamo tutti esauriti. Tutti, eh! Tutti quanti. Me credi?»
«Certo che ti credo, T. Perché non dovrei?»
«Ma tutti, tutti tutti, al 100%, tutti esauriti!»
«Assolutamente!»
«Tutti, tutti esauriti! Al 100%»
E se n'è andata.