martedì 30 marzo 2021

La Volpe

Mi sono sempre piaciute le rubriche sulle canzoni. I vari jukebox, i riferimenti ai pezzi conosciuti, le chicche da ascoltare per la prima volta: ho sempre letto con piacere i post che li riguardano.

Allora, pure io oggi voglio parlare di una canzone.

Una canzone per caso.

Che potrebbe anche essere il titolo di una rubrica, ma io con le rubriche ho poca attinenza: tutto ciò che richiede una frequenza cadenzata non rientra nel mio raggio esistenziale.
Ognuno ha la sua croce che stampella sul capo altrui: la mia è il caos che perennemente mi accompagna e che piace solo ai miei figli (non si sa fino a quando).

Va bene. Anche fosse che non do il via alla rubrica, di questa canzone vi voglio parlare lo stesso.


La canzone si intitola La Volpe e si ricollega perfettamente a domenica pomeriggio; a quando, famigliola al completo, siamo andati all’avanscoperta di una specie di paradiso terrestre dietro casa a guardare i cavalli.

Cosa c’entra la volpe coi cavalli? Niente. Ma ci arrivo.

Il consorte e i pargoli sono di norma attrezzati di bici. Io no, io preferisco le gambe. Mi piace correre.

Però, a correre nel paradiso dietro casa non c’ero mai andata. Non sapevo neppure esistesse. Che tutto st’ambaradam di anti-socialità avrà anche avuto le sue pecche, ma ci ha fatto riscoprire qualcosina in più. 

A me, ad esempio, ha fornito alcune certezze: 
  • che non sono proprio bona a fare i dolci;
  • che mio figlio parla continuamente davanti a tutta la classe e tenta di ingraziarsi le maestre asserendo che lui possiede poteri paranormali; 
  • che la vicina di casa frigge i bastoncini findus una sera sì e una no (e, considerato il fetore, probabilmente sempre nello stesso olio);
  • che al cane di quelli di sotto piacciono i salatini e che dopo averli mangiati smette di abbaiare;
  • che la domenica a cazzeggio e senza particolari appuntamenti mi gusta; 
  • che a due passi da casa mia si estende un parco migliametrico denominato Il Parco dei Cavalli Bianchi, dove, a detta di mio marito, vengono cresciuti e pasciuti i cavalli dell’esercito.


Che per essere dell’esercito mi sembrano animali fin troppo docili - chissà perché, nell’immaginario dei miei mille mondi interiori, i cavalli dell’esercito come minimo devono guardarti male.

Insomma, domenica ad un certo punto rimango da sola a passeggiare per le infinite distese popolate da cavalli d’ogni specie. Sono così tanto emozionata che incomincio a scattare quattordicimila foto. Poi mi dico: scema! mettiti un po' di musica, tanto stai da eremita (che verrebbe a dire, da dio), co tutto sto popò di panorama è il massimo.

E non so come, ma Spotify sputa fuori un live di Ivano Fossati: La Volpe, appunto.

Ma bella! Bella bella. Con una musica acconciata a puntino. Così bella che quasi mi commuovo e si commuove anche il cavallo a cui la faccio ascoltare.

Bella perché questa canzone, con la voce cioccolato fondente di Ivano, si interroga su cosa sarà mai quell’ombra sul viale di casa mia.

Che sarà quell'ombra in fondo al viale di casa mia?

E Fossati si risponde  - in verità se lo domanda e se lo risponde in maniera compulsiva un numero indefinito di volte, ma contento lui - che il cane non è, e la luna non è, e un amico non è, e la volpe di inverno non è...

Ma allora, che è?


Nel caso mio, è indubbio che l'ombra sia la mia. Nel caso di Ivano, è il suo amore che ha trovato la strada e che comunque assomiglia alla volpe.

Ora, non fatevi troppe domande. Non sindachiamo il testo. Cosa beve e mangia un artista a cena per poi riflettere sulle parole da cantare sono affari suoi.

Piuttosto, quanto è bella questa canzone? Ma quanto è bella.

Quanto.

È piaciuta a me ed è piaciuta anche ai cavalli.

E a voi? Alzi la mano chi già la conosceva (io no).











venerdì 26 marzo 2021

Di poesie babbe ed altre cose

Non ho mai scritto molte poesie. Perché, in verità, non le so scrivere. Anche se mi piace molto leggerle. Se mi chiedessero quali sono le regole base per confezionare un discreto componimento poetico, risponderei: Bò!... 

Dunque, le mie poesie, quando sgorgano all'improvviso da un pensiero fulmineo e si vanno a concentrare in quelle poche parole che possono somigliare a dei versi, io le chiamo "babbe". Dove babbe sta proprio per babbe, che non deriva dal babbo di quelle regioni dove per chiamare "papà" dici "babbo", bensì dal babbo/babba terronico. E in terronia, se sei babbo, sei babbo, non c'è niente da fare: sei un sempliciotto, un pò tonto, un pò rincoglionito e, nel caso peggiore, soffri di qualche handicap - lo so, siamo una brutta razza - .

Di poesie babbe ne ho scritte diverse, specie tutte le volte che mi sono innamorata. L'amore ti rende poetico, ti fa desiderare di esprimere lo scoppiettio dei sentimenti in ogni forma possibile; poi passa e tu rileggi quelle piccole opere amatoriali e pensi: mii, ma veramente mi ero così tanto imbabbunita?

Vabbè, oggi vi propongo una poesia. L'ho scritta di recente e, in un moto compulsivo di condivisione, l'ho pure pubblicata sul mio profilo feisbuc. L'ho scritta perché, reduce dall'ultimo anno, che chi mi conosce anche fuori da questo contenitore sa quanto per me sia stato di me... ehm... incisivo, mi sono ritrovata a riflettere su cosa veramente mi faccia paura della gente, dei rapporti interpersonali.

Allora, di volata, ho scritto:

Mi spaventa la cecità dell’anima,
l’indifferenza di chi guarda
e non vede mai.

Mi spaventano i cuori immobili,
quei cuori che non subiscono scossoni,
che si mantengono in bilico
nella poltiglia del loro brodo tiepido.

Mi spaventano gli struzzi,
il perbenismo dei pollai,
i serpentelli coltivati in cattività.

Mi spaventa l’abitudine all’assenza,
l’indifferenza alla sostanza del prossimo.

La poesia è certamente babba, ma a me ha confermato che, più di ogni altra cosa, del prossimo mi spaventa la mancanza d'empatia, la scarsa intelligenza (dalla quale proviene la cattiveria gratuita), le facciate d'apparenza, l'essere privi di coraggio nell'assumere una posizione e dire la propria, l'ego spropositato di chi non sa vedere al di là del proprio naso. 

Per sommi capi, questo.

E a voi, a voi cosa spaventa di più degli altri? In chi non vorreste mai veramente imbattervi?

Ah, spendetele due parole per dire che la mia poesia babba è babbescamente accucchiata bene :D

Dal web








martedì 23 marzo 2021

Ho deciso di usare il sarcasmo

Si parla tanto di come ci ha cambiato la pandemia, di quali sono stati e di quali saranno gli effetti sociali e antropologici che le chiusure, la crisi economica e tutto il corollario di restrizioni hanno comportato sul nostro modo d'essere e sull'approccio che abbiamo verso il mondo.

Miglioreremo, non miglioreremo, siamo diventati più buoni, finiremo per essere più fetenti, torneremo alla natura, ci immoleremo definitivamente alla tecnologia... Non si sa. Eminenti sociologi, psicologi e tanti altri studiosi che finiscono in "ologi" se ne stanno occupando.

A me, invece, è sorto un dubbio - sull'andamento che abbiamo preso, certo! - . E' successo quando un mio amico che lavora in Amazon mi ha detto che si stanno vendendo MOLTISSIMO dei libri "liberatori". Ha usato proprio questa parola: "liberatori". Ho pensato ad un manuale di psicopedagogia per bambini e adulti, o, che ne so, ad un romanzo particolarmente coinvolgente e con dei messaggi catartici nel contenuto.

E invece no! Si tratta di libricini da colorare. Quelle cose tipo "colora il mandala e rilassati", robe che se mi ci metto io impazzisco dopo il secondo minuto di attività perché la precisione non è il mio forte.

Ma questi di cui parlo sono libri ancora più speciali rispetto ad un semplice fiore ghirogorato dai temi simmetrici.

Partiamo con un titolo che tutto sommato non mi dispiace:

1 - HO DECISO DI USARE IL SARCASMO PERCHE' UCCIDERE E' ILLEGALE 


E fin qui, potrebbe anche essere un pensiero carino (notare le 856 recensioni positive sul sito di Amazon)

Qualche esempio dei contenuti:


Il sarcasmo, soprattutto se condito da una buona e sana dose di humor, è una condizione che dovremmo praticare un pò tutti. 

Ma passiamo al secondo e al terzo titolo:

2 - SEI PIù STRONZO DELLA MERDA




3 - COLORA STO CAZZO




Ora, fermo restando che il 3 vince sul 2 per numero di recensioni e dunque per propensione all'acquisto e all'argomento, ho sorriso scorgendo che "spesso i tre titoli sono comprati insieme" e che, niente popò di meno, "gli articoli sono acquistabili con il Bonus cultura e con il Bonus carta del docente".




Insomma, io non so verso dove stiamo andando. Neppure me lo voglio chiedere. Ma se avete voglia di colorare mentre aspettate l'estate e il futuro incerto... 

domenica 21 marzo 2021

Che cos'è una risata

 

Le Lettere della Domenica #10





Cos'è una risata?
 
Domenica 21 Marzo 2021

Amica mia,

Perché cos'è, in fondo, una risata? 

È una voce senza parole, un richiamo per i propri simili - di spirito, non di razza -, è un verso lanciato nell'aria affinché il branco riconosca istintivamente in noi una guida verso la meta di un'allegrezza subitanea. 

È un'esplosione del noi più sonoro, l'esondazione di un fiume in piena quando una diga di nervi crolla. È il nostro voler bene impulsivo a chi ci offre un piccolo dono di spensieratezza, magari inatteso. Una gioia, "un regalo da scartare al giorno prima della festa". 

Tu, stamattina, non avresti potuto farmi più felice di come hai fatto regalandomi quella tua risata. Sonora, profonda, sentita, liberatoria. E prolungata, per gustarcela fino in fondo, tu nel soffiarla via, io nel respirarla. Come primo tuo suono offerto a me, è stato un buongiorno incredibile. 

Facciamoci ridere. Facciamolo. È il modo più bello per rendersi felici, il più ancestrale, quello che fa bene a tutti senza far male a nessuno. Lasciamo fuori dalla porta il castello di futuri incerti, e i dubbi sul domani, e concentriamoci sulle fondamenta della felicità. Abbiamo un oggi di risate certe, e il bene che si annida nelle nostre vite, teniamoceli stretti. 

La nostra prossima danza sarà un ballo buffo, d'innocui inciampi e capitomboli, su cui rideremo tanto. 

E questa, è una promessa.

D.
 

giovedì 18 marzo 2021

Riparto col Mohicano


Da dove riparto? Ci ho pensato. Sono mesi che ci penso. Il blog l’ho messo in pausa per un po’, non avrei saputo cosa scrivere.

Neppure adesso, in verità, so cosa scrivere.   

Inizio da un argomento a caso: la Vodafone mi ha regalato 4 mesi di una tv a pagamento. Dolce, avrà notato che non mi andava neanche di guardare la televisione. Però, in questo contenitore on demand completamente gratuito non c’è un ca...volo. O meglio, è possibile riguardarsi Il trono di spade, e lì, lo sappiamo, di frutta, verdura, estrogeni e testosterone ce n’è a bizzeffe: ma di film nuovi, di proposte interessanti, di cinema che valga veramente la pena di vedere, non se ne trova l’ombra.



Poi, domenica mi è capitato sotto l’occhio disilluso un film di tanti e tanti anni fa: L’ultimo dei Mohicani. Bello, mi son detta. Con quella musica che ti ribalta le budella e il tizio col capello liscio e scalato che se ne va in giro a fare il giocoliere con due fucili e un macete solo per salvare Lei, la figlia cazzuta del generale stronzo.

E mi sono messa a riguardarlo. Da ragazza ho anche letto il romanzo di Cooper, una buona opera. Ma al film: al film cosa vogliamo rimproverare? C’è tutto: le atmosfere suggestive, gli indiani in gonnella, lo sguardo di lince del figlio dell’ultimo dei mohicani, il capellone che sa il fatto suo e non ha neppure bisogno di farsi lo shampoo perché gli basta scuotere la testa due secondi per sprigionare tutto il suo fascino… Solo una mi è tornata indigesta: la biondina slavata con l’espressione sempre persa nel nulla che già all’epoca della lettura mi aveva ampiamente indisposto. La sorella della protagonista, per intenderci, quella che prima della fine – ehm…perdonate lo spoiler! - si getta di schiena in un burrone.



Persino l’Urone che la tiene prigioniera, a una certa, ed avendo intuito le sue nefaste intenzioni, le tende una mano facendole segno di ripensarci, come a dire: Eddai, che cazzarola te butti di sotto? Viè qua, parliamone, non fare la deficiente… 


Ma lei niente, imperterrita prende la via del non ritorno, come se servisse a qualcosa.



Il film finisce che gli Uroni se ne tornano a casa come se niente fosse, mentre Lui, Lei e il Mohicano rimasto se ne stanno faccia al vento a guardare al domani: perché finché c’è vita c’è speranza, e di vita, a quanto pare, ce n’è una sola. Tocca averne cura e tenersi a debita distanza dai dirupi.

Dal film "L'ultimo dei Mohicani"