martedì 26 maggio 2020

L'Autore del blog accanto - MAURIZIO di CARTATADIRESCHE

Riprendo, dopo tanto, una delle mie rubriche più spensierate e affettuose: 

L'AUTORE DEL BLOG ACCANTO.     

Perché, come disse il mio amico Moz, ci aggiriamo nei meandri del web nella gran parte anonimi e sconosciuti al successo di massa, ma, alla fine, l'universo dei blog è composto da ciascuno di noi. E dietro a chi scrive, dietro a chi ogni giorno si prende la briga di lasciare un pezzetto di sé in contenuti di vario genere e interazioni, c'è sempre qualcuno di speciale.  

C'è pure chi è un autore vero e proprio, perché ha tentato la via della pubblicazione, oppure, semplicemente, perché  è diventato un autore a tutti gli effetti per gli utenti che lo leggono.

Oggi ospito un poeta. E un fotografo. Non so cosa si senta di più. Suppongo, imprescindibilmente, entrambi.  

Il suo blog è CARTATADIRESCHE. Lui è Maurizio

Non ricordo come sono approdata nel suo angolo. Di sicuro sono rimasta affascinata dai grumi intensi di parole  che quotidianamente Maurizio alterna ai suoi scatti che immortalano scorci di appassionato amore per il mondo, in tutte le sue sfumature. 
Soprattutto, mi hanno colpito la semplicità, la discrezione, la bontà d'animo, la spiccata sensibilità che trapelano dalla maniera garbata di porsi.

Leggo, ormai, Maurizio da qualche anno, tra le varie latitanze e i periodi in cui bazzico appena. Ma, finalmente, riesco a dedicargli questa piccola intervista.

Ciao Maurizio, tu sei uno dei blogger più discreti che io abbia avuto modo di incrociare. Sono felicissima di averti qui e di poterti fare qualche domanda. Iniziamo.
 Perché scrivi?

Scrivo per raccontarmi la vita che vivo, che mi gira attorno ogni giorno. Scrivo da sempre e trovo che colorare con le parole le nuvole di un cielo di mille emozioni è sempre qualcosa di meraviglioso.


Cosa speri gli altri leggano tra le righe?

Leggere è un po come sognare. 
Se poi alla lettura si unisce l'interpretazione attraverso una fotografia, un suono o un colore, allora si possono anche ritrovare quelle emozioni che sono rimaste dentro come chiuse in un cassetto.  
Le emozioni che io provo a donare, con la stessa semplicità e dolcezza con cui si donerebbero dei fiori di campo, vorrei fossero raccolte, da coloro che ne sono capaci, come emozioni pure, vere, sincere. Un pò come ritrovare qualcosa che si è perso e  che inavvertitamente, toccando il cuore, riesci a sentire, riesci a dividere e condividere nella buona e nella cattiva sorte. 
Spero tanto di poter donare quel sorriso, a volte disperso, a volte dimenticato, a volte rubato che spesso manca in Noi, attorno a Noi, dentro di Noi.


Cartatadiresche: ovvero? 

Il titolo a questa emozione, iniziata nel maggio 2008, nasce da ciò che dalle nostre parti - in Sicilia -, è lo scarto per eccellenza: un foglio di giornale dove avvolgere le lische dei pesci da buttare. 
Lo spazio mi è stato regalato, quasi per scommessa, da un amico carissimo, per me più di un fratello nonché  ottimo fotoreporter: Toti Clemente. E' stato lui a spingermi in questa straordinaria avventura riconoscendo in me delle capacità comunicative. Ho incominciato dal basso ed ho iniziato a volare sul sogno,  costruendo ogni giorno, con modestia, semplicità e amore, gradini di consenso in un cielo, in realtà, mai cercato. I numeri poi non hanno molta importanza, un sorriso sì.


Dove e cosa ti vedi a fare tra 10 anni?

Non so cosa mi riservi il mio modo di vivere negli anni a venire. So che continuerò ad amare la fotografia come ho fatto per una vita, con la giusta attenzione per il bianco e nero che spesso, molto spesso, dimentico.  
Ma mi vedo anche a giocare divertito con i miei nipotini e a dir loro che la vita è una fotografia che resterà per sempre.


E io concludo ringraziando Maurizio e lasciando una traccia di lui. Anzi, due!
Due, tra le mie preferite.

"Addestro fumo per non modificare il silenzio.
Tu che ritorni a risplendere
come qualcosa che persa ritrovi
come quel granello di sabbia che neppure vedi
eppure trovi dove curvano i desideri e mesti
rientrano le onde appannate dal tuo sorriso."

dal bolg CARTATADIRESCHE AVMpress 2020 © Riservato ogni diritto e utilizzo


Maurizio Anselmo - "Uno nessuno centomila"


Gli atri Autori del blog accanto: 






mercoledì 20 maggio 2020

Spectrolite

Ieri sono uscita.

Credo in questo maggio. 

Credo nella bontà delle persone.

Credo nella forza di rialzarsi.

Credo negli abbracci dati a memoria, nei baci a mente, nei sorrisi sotto le mascherine. 

Credo nella generosità, nelle mani disinfettate che si tendono. 

Credo nell'amore. Nell'amore, soprattutto. 

Credo nel bene. Ma l’ho già detto.

Credo in questa ripartenza. Che non si riparte mai. In realtà, siamo tutti perennamene in cammino. 

Credo nel cielo e nel mare. In tutti i cieli e i mari che vegliano su ciascuno di noi. 

Credo nello stupore di una sorpresa. Credo che quando gli occhi si allargano all'improvviso come il mare che compare dietro l’angolo quando fai la curva, ci puoi scorgere dentro ogni verità. 

Credo nelle delicatezze che riserviamo alle persone.

Credo che tiri più un pelo di pace che un milione di pali in assetto di guerra.

Credo nell'amore. L’amore chiama amore e viceversa. 

Credo in me. Con tutti i mie difetti e le mie contraddizioni.

Credo in me.

Credo nell'amore.

spectrolite

domenica 17 maggio 2020

Quo vadis, boy?

Le Lettere della Domenica#8



Quo vadis, boy?

DOMENICA, 17 maggio 


Ciao Ezio, 

Così, te ne sei andato. È successo venerdì 15 maggio. In questo mondo diventato surreale in cui gli uomini cadono come birilli a causa di un virus, te ne sei andato pure tu. 

Sei morto del tuo male, però; del morbo che non ti ha lasciato scampo. 

È strano, ma sembra che muoia più gente quest’anno. A prescindere dal Covid, si ha come l’impressione che la morte si sia data appuntamento con la morte giustappunto nel 2020. 

Forse è solo una questione mediatica. Forse abbiamo le antenne appizzate in quel senso. 

Non sapevo stessi così male. Sì, ti avevo scorto in tv qualche volta, avevo sbirciato qualche articolo di giornale, ma da qui a pensare che morivi. 

In fondo, tutte le volte che siamo stati insieme, a me bastavi tu: e tu sei la tua musica. 

Ci siamo conosciuti circa 15 anni fa, Ezio, in quel cinema della periferia di Roma. Ci ero andata per Salvatores. Quando Gabriele lancia un pelo, io corro a raccoglierlo. Tu eri già in sala quando il film è iniziato, ma non lo sapevo. Non ricordo la trama. Rammento, invece, che a metà del primo tempo ero già angosciata. Non era il massimo dell’empatia quel film. Una specie di flop di uno dei miei registi preferiti. Ma c’era qualcosa che mi prendeva, qualcosa che mi teneva inchiodata alla poltrona. 

Ho chiuso gli occhi e, solo allora, ti ho visto. Eri tu. Era la musica. 

La colonna sonora di "Quo vadis, baby?".

L’ho scoperto dopo. Ho aspettato i titoli di coda. Non avevano ancora inventato Shazam. 


Da quel momento ho iniziato ad amarti. Da quella soundtrack , dalla tua reinterpretazione delle Impressioni di settembre. 


Non ci siamo più lasciati. 

Certo, poi, ho conosciuto Einaudi. E Buonvino. E il ménage è diventato a tre, anzi, a quattro. Ma da qui a pensare che morissi. 

Ho chiesto a Claudia se, caso mai, anche Ludovico soffre di qualche malattia. Lei sa sempre tutto. Mi ha assicurato che sta benone. Dovrò domandarle pure di Paolo. Non si sa mai. 

Ci son rimasta troppo male, Ezio. Troppo. 

Ho fatto quella cosa che fanno tutti. Quella cosa patetica in cui agisci fuori tempo e cerchi di recuperare un persona che non c’è più. Con te è stato facile. Internet pullula di notizie che ti riguardano. Il web, da venerdì, è esploso. 

Ho letto della tua vita, della tua lotta contro la SLA, della tua passione per la musica e per l’intero universo. Più di tutto mi ha colpito un’intervista dove tu dici che la musica ti ha scelto perché ne avevi più bisogno degli altri. 

E poi dici che le cose succedono sempre per un motivo. Spesso ci sono degli aiuti che ci arrivano e non lo sappiamo. Non siamo in grado di riconoscerli. 

E poi dici che i tuoi genitori non è che fossero dei pezzi grossi. Tuo padre faceva il tranviere e tua mamma aveva lavorato come operaia in Fiat. Rappresentavano quella fetta di generazione partigiana liberata che cercava di liberarsi attraverso la cultura. Avevano casa piena di libri. Si indebitavano per i libri. Erano dei matti. 

E poi dici che la tua malattia ti ha dato l’opportunità di scoprire altro, che spesso le cose succedono solo quando sei pronto ad accoglierle. Che tu non sei la sedia a rotelle che ti accompagna, o una roba da compatire o da idolatrare, ma sei uno che si dedica alla musica e come tale vai anche criticato. 

E poi dici che ti senti un uomo fortunato. Lo sei, lo resti. Non puoi non sentirti fortunato quando incontri un sorriso. Quando sorridi. Dici che la miglior risposta è sempre il sorriso perché l’hai sperimentato. E un sorriso avvicina più dei passi e apre più porte delle chiavi. Quando sorridi, quello che fai lo fai più volentieri. 

E a me, a quel punto, viene da chiederti: 

Quo vadis, boy? 

Dove vai, ragazzo fortunato? 

In questo maggio di incertezze e vita nuova da reinventare… 

Dove vai? 

Da nessuna parte. Rimani. Immortale e sorprendentemente presente. Con la tua musica. 
Vigile, in quelle lontane Impressioni di settembre che continuano a scavare nell'anima nonostante sia maggio inoltrato 

Rimani. 

Ed io sorrido ascoltandoti.  

Voglio sorridere per sempre. 

Che il sorriso è l’unica cura, l’unica chiave. 

Solo chi rischia di perderlo se ne ricorda.

Solo chi ha il coraggio di dirlo anche agli altri.

Non ci lasceremo mai, Ezio. 

Un amore, quando è amore, è per sempre.

Una che porterà il tuo amore 
in ogni angolo della sua vita




martedì 12 maggio 2020

I Promessi Cosi

L’altro giorno mi ha chiamata il mio amico Peppe. 
Io e Peppe abbiamo fatto la terza media insieme. Lui era ripetente. Non è mai stato un grande studioso, tant'è che alla fine le medie se l’è prese da esterno. È comunque un bravo ragazzo. Uno molto pratico. È diventato pure un eccellente coltivatore di erbe (officinali).


Allora, mi ha telefonato:

Come butta romana, che si dice lassù...

Per tutti quelli di giù io sono su, mica al centro. 

Abbiamo discusso del più e del meno, delle fasi e delle frontiere. Secondo Peppe è la volta buona che le cose in Italia cambiano. E se non cambiano, tra un anno ce ne scappiamo in Brasile. Che lui in Brasile se ne voleva scappare sin dai tempi della scuola. Il Brasile, le brasiliane, il selvaggio delle favelas. Poi, però, si è sposato una calabrese doc, di quelle che quando entra in casa ed ha appena passato lo straccio gli fa levare le scarpe.

Senti, mi fa ad un certo punto, ma a te che ti piace scrivere le storie, la devi scrivere ora una bella storia, assestata e precisa.

In che senso?

Nel senso che se scrivi una storia coi controcazzi che parla di pilu e del virus, ti sei piazzata a vita.

Aaaahhhhhh... no, ma non è il mio genere. E poi sai che ho letto sul Fatto che già stanno criticando gli scrittori dell’apocalisse, quelli che prendono spunto dai disastri per creare narrazioni d’impatto. Li hanno chiamati gli scrittorucoli del malaugurio.

Seeee, beata a te! Quelli il fatto te lo raccontano come gli pare perché il libro lo vogliono scrivere loro e farsi loro i soldoni....

...

Ma tu te lo ricordi quello a scuola, quello con tutta la storia del matrimonio, il virus, il prete, il mafioso...

Ma chi?

Sì, sì, quello di Como...

Ma di che parli?

Quello della suora, dei tacchini...

Oddio, Peppe, ma parli di Manzoni, dei Promessi Sposi, dei capponi?

Eh!

...

Quello sì che si è fatto i soldi!

...

... ma non è paragonabile, Peppe! Cristo santo. I promessi sposi è un capolavoro, un romanzo storico, il capostipite del romanzo moderno, e poi è stato scritto nell'ottocento ma narrava di eventi avvenuti due secoli prima e durante il periodo della peste.

Ecchittinnifutti. Queste cose le sai tu che hai studiato. Io ti ho dato l’idea. Poi quando qualcuno  scriverà i Promessi Cosi del Coronavirus non venire a piangere da me... Io te l’ho detto
Va bene ciao, che ora devo andare...


Ciao Peppe, che Dio ti benedica e che il Manzoni ti perdoni.

Soprattutto che il Signore, o chi per lui, ci salvi da un filone letterario che - a parte i futuri capolavori(?) - sarebbe bene scongiurare.

O no? 


domenica 10 maggio 2020

Ti regalerei la pace

Le Lettere della Domenica#7



Ti regalerei, 
la pace...

DOMENICA, 10 maggio 2020
ore 17:00


C’è un tempo per ricordare, 



in pace. Un tempo per placarsi. 

La pace appartiene a tutti ma in pochi la scorgono. 

Ogni gesto mi riporta a quel traghetto. Mare e vento. E gente che straripa su ogni ponte. 

Se ci fossimo abbracciate quel giorno, orfane in un fossato. 

Invece, nelle fughe si sta zitte. Ci si immobilizza. Per non rischiare che un gesto, un respiro, si trasformi nella voragine del nulla. 

Mare e vento. E un fiume di persone sulla passerella di sbarco. 

Un pesce che passava come un ladro s’è preso in prestito la tua risata ed è scappato. 

Ma prima si è inchinato. 

Ci vuole fegato a mettere insieme quattro stracci e a tornare da dove si è venuti. Ci vuole coraggio a non cadere, a non buttarsi dal parapetto della nave. 

Un passo dopo l’altro, le spalle curve, il fiato spezzato. 

Il tuo sorriso era perso, però. Il mare ne ha fatto un boccone. Il mare inghiotte tutto: le risa, i baci e le lacrime di coloro che lo attraversano. 

Lascia solo il coltello nel fianco, quel dolore sordo che ci vuole forza a strappare via. 

Avrei dovuto chiederti di ridere di più, avrei dovuto pretenderlo, importelo. Dirti che chi non ti merita non ha diritto di esserci nel lutto di una vita andata. 

Avrei dovuto chiederti di ridere come quella volta al mercato in cui compravamo stoffe giallo canarino e tu ridevi a perdifiato, di nulla, di una battuta stupida. 

Se potessi, ti riporterei a quel giorno e alle tue risa. Se potessi, cancellerei il logorio dei mali. Se potessi, ti farei vedere il mondo coi miei occhi. Che i miei occhi guardarono la stessa fuga ma non vennero divorati dalla colpa. 

Se potessi ti scriverei un componimento d’amore, di quelli che non ti hanno dedicato e che avresti tanto voluto. 

Se potessi, ti regalerei la pace, 

Mamma.

Io che della Pace 
porto il nome

mercoledì 6 maggio 2020

Flechazo

Oggi ne approfitto per dirvi di un progetto che prende spunto dal blog ma che da poco segue la via di Instagram.

Ve la racconto in breve.

Alcuni di voi avevano notato il blog parallelo a questo ufficiale dove l'intento era raccogliere le mie citazioni preferite: Fiori di Parole. Una cosa piccola e intima, un contenitore che sostituiva la mia solita agenda. Niente di più.
Poi, le mie solite amiche, Fede, la Squitty dell'Armadio che ha da poco inaugurato il suo Aritmia Creativa, e la Giusi, dell'intramontabile Semplicemente Giusi, alle quali, peraltro, il blog era stato dedicato, mi fanno:

Perché non sposti tutto su Instagram?

Eh, perché?

Perché no.

Tanto di tempo...

E' così che è nato #fioridiparole. E' una roba a sé, ovviamente. Ve lo annuncio non tanto con fini pubblicitari quanto perché Dadirri accoglierà due appuntamenti:

1) il primo è quello di oggi, del mercoledì, la rubrica delle PAROLE INTRADUCIBILI.

"Dadirri" ebbe origine proprio da una mia personale ricerca che riguarda questo filone. Ci ho dedicato una pagina apposita

Uno dei sogni rimasti nel cassetto sin da allora è stato quello di creare una raccolta con le più belle di queste parole.

Ed ecco a voi il primo post.

Il mondo delle parole è un mondo magico. Ogni lingua possiede le proprie regole, le proprie sfumature, i propri rimandi culturali.
Esiste un numero indefinito di parole intraducibili: si tratta di tutte quelle parole che raffigurano emozioni o contesti noti a tutti, ma che hanno una specifica denominazione in una certa lingua. In pratica, sono parole che, per essere tradotte, necessitano, rispetto alla lingua d'origine, di una serie di frasi per esplicitarle.
Da questa settimana diamo il via alla rubrica delle #paroleintraducibili_fdp.
La prima parola proviene dallo spagnolo ed è "FLECHAZO".
FLECHAZO racchiude nella sua lingua d'origine tutte quelle sensazioni e i sentimenti che si scatenano quando assaporiamo un colpo di fulmine, l'amore a prima vista.
Se vi innamorate all'improvviso e non sapete come dirlo ricordatevi di FLECHAZO: perché le parole cambiano da paese in paese ma le emozioni degli uomini non mutano. È l'amore è amore ovunque. ~ Partecipa anche tu a #paroleintraducibili_fdp: se conosci qualche parola che non può essere letteralmente tradotta in nessun'altra lingua, lascialo scritto nei commenti. Le più belle verranno raffigurate e riceveranno il tag di Fiori di Parole. *L'immagine di questa puntata prende spunto dall'opera del fumettista Craig Thompson e dalla sua opera "Blankets".

Come iniziare se non con un'intraducibile parola dedicata all'amore?
In particolare, all'amore a prima vista.
E voi, avete mai sperimentato il colpo di fulmine? Avete mai "flechazo"? 
Se vi va, raccontatemelo. Chi mi conosce lo sa: rimango un'inguaribile romantica.

venerdì 1 maggio 2020

- 4 3 2 1... difendiamo l'allegria!

Anche aprile è andato. Sono andati il lavoro, la pazienza, la tolleranza, la sopportazione e pure quel minimo di raziocinio che ti tratteneva dal papparti l’ultima confezione di Mars stipata in fondo al cassetto. 

- 4 3 2 1… si passa alla fase II: tutti al prato o a far visita ai congiunti distanti (ma non troppo)! 

Ha scritto una tizia su fb: 

E chi i congiunti ce li ha vicino può uscire per non vederli? 

Sciagurata. 
Intanto, le ho chiesto l’amicizia. Così, per tenermi informata. 

Che poi, per dirne una, i miei bambini sono adorabili. Molto votati all'autonomia. 
Tutti i giorni, ad esempio, gioco a nascondino con il maschietto che ha deciso, in assoluta AUTONOMIA, che la scuola on line non fa al caso suo, e trova i posti più impensabili per mascherare la sua presenza e riuscire a scampare all'idilliaco momento dei compiti. 

Il resto dei congiunti li ho fuori regione. A giorni alterni mia mamma mi videochiama e mi fa l’elenco dei sintomi, sempre nuovi e differenti, che manifesta e dei possibili contagi in cui si può essere imbattuta. 

Mica le apriranno a breve le frontiere regionali, vero? Chiedo per un’amica. 

Ho letto pure che i divorzi, a causa della quarantena, sono destinati a subire un’impennata. 

Perché divorziare? E’ terribile! 

Io regalo marito in perfetta salute con allegata autocertificazione di ultima generazione per gli spostamenti in loco. Se interessati contattatemi in privato. NO PERDITEMPO. 

Va bene, la questione è seria. Serissima. C’è poco da scherzare. Il mondo sta andando alla deriva. Se ti concentri sulla situazione, l’angoscia ti devasta. Se non ci pensi, ci pensi lo stesso. Perché il pensiero scaturisce dal vissuto. Gli stimoli esterni rappresentano il motore della nostra esistenza interiore. 

Consentitemi, tuttavia, un pensiero positivo. 

Uno solo. Un unico pensiero che è frutto della lettura del poema di Mario Benedetti: Difendere l’allegria

"Difendere l’allegria come una trincea 

difenderla dallo scandalo e dalla routine 

dalla miseria e i miserabili 

dalle assenze transitorie 

e le definitive 

difendere l’allegria come un principio 

difenderla dallo stupore e dagli incubi 

dai neutrali e dai neutroni 

dalle dolci infamie 

e dalle gravi diagnosi… 

… difendere l’allegria come un diritto 

difenderla da dio e dall’inverno 

dalle maiuscole e dalla morte 

dai cognomi e dalle compassioni 

dall’azzardo 

e anche dall’allegria."

Difendiamo l’allegria. Difendiamola per non soccombere, per riuscire ancora a tendere la mano, per conservare in un sorriso, piuttosto che in una lacrima, il ricordo di chi, negli ultimi mesi, non è riuscito a difendersi o a difendere nonostante abbia lottato con tutte le proprie forze.

Il capolavoro è offerto dalla mia piccola Vittoria