Oggi sarebbe toccato al post sui compleanni di maggio. Considerato, tuttavia, che io non riesco ad organizzare neanche mezzo secondo della mia vita, figurarsi i post del blog. Perciò, i compleanni di poeti e scrittori ve li ciuccer godrete non appena mi avanzerà una notte per metterli insieme.
Nel frattempo, ieri, dopo pranzo, mi è accaduta quella cosa strana di impantanarmi in un un'emozione con un'identità ben precisa. Già che il baccalà di mia suocera mi viene pesante, già che pioveva e mi andava solo di defilarmi a terminare la digestione sotto a un plaid con le mani unte e paffute dei miei figli a carezzarmi ma avevo distribuito inviti a destra e a manca per trascorrere un pomeriggio in allegria, già che ultimamente ho l'ormone avvelenato e mi riesce di disinnescarlo solo con lunghe e terapeutiche sedute di scrittura intima e ritirata, insomma, senza sapere né come né perché, all'improvviso, mi si è piazzata davanti Lei, Emily, quella famosa, quella che conosciamo tutti: Emily Dickinson, la poetessa.
E mò che vuoi, Emy? Che ti ho fatto? Ti ho trascurata? Non ti ho voluto bene abbastanza? Te la sei presa che ho messo tutti i tuoi volumi negli scatoloni in garage? Che ti ci posso fare, qua siamo in 4 in 60 metri quadri... Non so se ti rendi conto.
A che pensi? mi ha chiesto il Consorte.
A Emily Dickinson, ho detto io.
Annamo bene, ha fatto lui. E se n'è andato, che tanto lo sa che quando mi piglia lo sghiribizzo di una poetessa è meglio farsi da parte e lasciarci discutere tra donne.
Ho continuato a pensare ad Emily per l'intera giornata. Ero concentrata su un aspetto della sua vita che forse non conoscono in molti.
Emily ha vissuto la sua esistenza in un'assoluta e quasi esclusiva solitudine. A ventitré anni si è rintanata nella sua stanza e ti saluto mondo. Si è addirittura scritto che non uscì dalla camera neppure in occasione della morte del padre che pure amava di un amore appassionato. Se ne stava chiusa, semplicemente; a scrivere poesie e lettere che inviava ad amici intimi e ad amori distanti conosciuti nei pochissimi viaggi intrapresi.
Certo, beata lei, che non doveva uscire per andare a lavorare, a fare la spesa, a pagare le bollette, ad accompagnare i figli o i nipoti a scuola... Ci vuole anche cul una certa dose di fortuna nella vita. Il padre si sarà rivoltato sul letto di morte: mantenerla tutto il tempo e poi manco una rampa di scala per fargli un ultimo saluto, una sbirciata prima del lungo viaggio...
Se fosse vissuta ai tempi nostri, forse sarebbe diventata una social-dipendente, Emily. Di certo, l'avrebbero trascinata da uno bravo e l'avrebbero magari riposta in una comunità di recupero.
Questione di tempi: una volta essere eccentrici risultava più semplice.
Meno male che Emily è nata nel 1830, meno male che è stata quello che è stata. Ci vuole coraggio ad essere se stessi.
Meno male che gli scatoloni con le sue opere non erano finiti proprio dietro la catasta della mia biblioteca impacchettata.
Meno male che oggi Lei sia di nuovo qui, a rammentarmi che Noi che abbiamo l’anima moriamo più spesso, ma che la vita non è mai vissuta invano. Perché
Se potrò impedire a un Cuore di spezzarsi
Non avrò vissuto invano
Se potrò alleviare il Dolore di una Vita
O lenire una Pena
O aiutare un Pettirosso caduto
A rientrare nel suo nido
Non avrò vissuto invano.